STORIA DELLA DINASTIA VEGEZZI-BOSSI


Albero genealogico della dinastia Vegezzi-Bossi (formato .pdf)


Il primo anello storico della dinastia si fa risalire ad Antonio Bossi, segnalato come costruttore di organi nel 1550 a Mendrisio (Canton Ticino).
Tra i suoi discendenti figura Gabriele Bossi, dal 1653 a Bergamo dove la ditta si era trasferita.
Con Carlo Bossi (1770-1836) ci fu un ulteriore trasferimento a Lodi.
Dei figli di Carlo è importantissimo Felice Bossi (1795-1873), che nel 1850 lasciò ufficialmente Bergamo per trasferirsi a Torino. A Felice si devono gli organi per la Chiesa della Madonna degli Angeli e per la Chiesa della Visitazione (entrambi nel 1846) ed inoltre quelli per la Cattedrale di Ivrea, per Santa Maria Maggiore di Vercelli e per la Cattedrale di Aosta. Egli non ebbe figli, ma decise di adottare il figlio di primo letto di sua moglie Angela Lorenzi, vedova Vegezzi: Giacomo, il quale decise di mantenere il doppio cognome Vegezzi-Bossi.
Tra le opere di Giacomo Vegezzi-Bossi (1825-1883) ricordiamo l'organo per la Cattedrale Metropolitana di San Giovanni Battista in Torino (1874) ed il rifacimento dell'organo della Gran Madre di Dio (1880).
Il figlio di primo letto di Giacomo, Carlo Vegezzi-Bossi (1858-1927), è considerato non solo il più autorevole rapresentante dell'organaria italiana a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. "Educato dal padre - scrive l'organologo Corrado Moretti - con la sua guida collocò a ventitre anni il primo organo, meccanico, ad una tastiera e tredici registri nella Real Cappella della Sindone a Torino (1881). Nel 1884 Carlo presentò un grande organo a tre tastiere all'Esposizione Nazionale di Torino, strumento pre miato con medaglia d'oro e poi collocato nella Chiesa di San Massimo della stessa città. Il suo nome però raggiunse di colpo la celebrità nel 1892 con l'organo del Carmine". L'organo della Chiesa del Carmine di Torino (purtroppo distrutto nella Seconda Guerra Mondiale) venne collaudato dal grande organista e compositore Marco Enrico Bossi (1861-1925), curiosamente omonimo ma non imparentato con i Vegezzi-Bossi, il quale si dichiarò entusiasta dello strumento, laureando definitivamente il suo artefice. Immediata giunse per Carlo la fama, per non dire la gloria, che gli procurò ben presto numerosissime commissioni (oltre un migliaio) in Italia ed all'estero; divenne così un protagonista dell'organaria europea. Gli organi di Carlo Vegezzi-Bossi vennero esportati non solo in Europa (Francia, Svizzera), ma anche oltre oceano (Argentina, Venezuela, Brasile). A Torino sono ancora conservati, oltre al citato organo della Chiesa di San Massimo, anche quelli della Chiesa di Santa Barbara e della Chiesa delle Sacramentine, costruiti verso la fine dell'Ottocento e attualmente da restaurare, nonchè quello della Chiesa di San Filippo Neri, costruito in origine dai Serassi e recentemente restaurato, e quelli della Chiesa di Santa Giulia e della Chiesa di San Lorenzo, risalenti ai primi anni del Novecento. La genialità di Carlo Vegezzi-Bossi sta nel suo grande intuito tecnico, che permise all'organo italiano, pur conservando la tradizionale base del ripieno, di arricchirsi da un punto di vista fonico senza essere stravolto e contemporaneamente di progredire tecnicamente. Fu soprattutto la trasmissione il punto di forza dell'organaro torinese. Adottò infatti un sistema cosiddetto pneumatico-tubolare, che sostituì la vecchia catenacciatura. Ci fu in proposito un oscambio di accuse tra Carlo Vegezzi-Bossi e l'inglese William George Trice, che all'epoca risiedeva a Genova. Quest'ultimo, un ricco dilettante, aveva studiato con il grande Cavaillé-Coll, il francese padre della trasmissione pneumatica. Carlo Vegezzi-Bossi ebbe modo di assistere al collaudo dell'organo costruito dal Trice per la Basilica dell'Immacolata di Genova (20-22 Aprile 1890). L'impressione che ricevette fu enorme: l'introduzione, oltre alla trasmissione pneumatica, dei mantici azionati elettricamente permetteva permetteva pressioni dell'aria maggiori, a tutto vantaggio della fonica. Da allora il giovane Carlo abbracciò con entusiasmo il progesso tecnico e tecnologico ammodernando le innovazioni del Trice alle cui accuse di plagio seppe rispondere efficacemente dimostrando di non aver avuto altra guida che il suo ingegno.
Per concludere il discorso dinastico sui Vegezzi-Bossi è bene precisare che la figlia di Carlo, Alessandra, sposò Celestino Balbiani (1880-1956), discendente di una famiglia di organari lombardi, il quale da allora assunse il cognome di Balbiani Vegezzi-Bossi, cognome che la ditta ancora oggi in attività, ha conservato.
Una riflessione a parte merita infine l'opera dei Vittino di Centallo. Fondata da Carlo Vittino (1795-1868) nel 1824 la ditta con i figli Vittorio, Francesco ed Annetta operò nel Piemonte occidentale sino al 1907 realizzando in tutto 142 organi. Molti di questi strumenti, caratterizzati da argentei prospetti e da argentini Ripieni, continuano da un secolo ed oltre a suonare con la precisione del giorno del collaudo: prova indubbia della loro solidità meccanica e perfezione fonica.
Vittorio Vittino (1817-1886), oltre che organaro provetto, era valente musicista.
Francesco Vittino (1849-1923), lavoratore intelligente e studioso, lasciò una profonda traccia del suo operato in molti organi costruiti nell'alto Piemonte.
Annetta Vittino (1816-1886) si appassionò talmente all'arte del padre da lasciare le occupazioni abituali della donna, per dedicarsi completamente all'organaria con bravura più unica che rara. Il destino volle che Annetta sposasse Giacomo Vegezzi-Bossi, vedovo e già padre del futuro grande Carlo. A ben 54 anni quell'energica donna partorì Francesco il quale inevitabilmente ereditò la passione per gli organi quasi per un fattore che oggi potremmo scientificamente definire genetico. Francesco Vegezzi-Bossi (1870-1943) infatti dapprima collaborò a lungo con il fratello ed in seguito nel 1905 rilevò la fabbrica degli zii materni facendo così nascere la ditta Vegezzi-Bossi di Centallo, ancora oggi in piena attività. L'organologo Comm. Giacomo Sizia definì Francesco Vegezzi-Bossi "artefice coscienzioso, pieno di decoro professionale, organaro di pura razza".
Trascorso il periodo bellico, triste oltretutto per la scomparsa del Cav. Francesco, la ripresa è stata particolarmente difficoltosa, ma con tenacia, grandi sacrifici e continui studi di aggiornamento, Carlo Vegezzi-Bossi (1900-1977) continuò l'opera paterna, compiendo ulteriori progressi tecnici nella costruzione ed espandendo i suoi lavori in tutto il territorio nazionale ed estero.
Il figlio di Carlo, il geom. Francesco Vegezzi-Bossi (1937-1984), si dimostrò un degno continuatore della tradizione dei Vegezzi-Bossi Vittino per i suoi continui studi sulla trasmissione, sia meccanica che elettronica, e sulla fonica. Tuttavia egli non potè portarli a termine a causa della sua improvvisa morte.
A continuare la tradizione delle famiglie e l'eredità di lavoro, lasciategli da suo padre, vi è ora il figlio, Enrico Vegezzi-Bossi (1964), che in collaborazione con Bartolomeo Brondino (1961), già collaboratore della ditta dal 1980, ottimo intonatore ed accordatore, opera alla gestione ed allo sviluppo tecnologico dell'azienda. Entrambi hanno intrapreso l'attività in giovane età, alternando gli studi scolastici con il lavoro in bottega; i numerosi ed importanti restauri portati a termine e gli oltre 20 nuovi strumenti costruiti dal 1984 ad oggi sono la testimonianza dell'effettivo proseguimento della tradizione.


Fonti utilizzate:
"Organi storici in Torino" di Paolo Tarallo e Roberto Cognazzo, Archivi di Arte e Cultura piemontesi, Umberto Allemandi & C.
"L'Organo Italiano" di Corrado Moretti, Casa Musicale Eco
Sito web della Antica bottega artigiana Vegezzi-Bossi di Brondino Vegezzi-Bossi S.n.c. (www.vegezzi-bossi.com)


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